Domenico, il sarto di Gustavo Rol
Questa storia l’avevo scritta per Ottoinforma, giornale della ex circoscrizione otto, che purtroppo ora ha smesso di pubblicare.
Vi racconto la storia di Domenico Arnaudo, proveniente dalle Langhe, che voleva fare il ciclista e diventò il sarto dei “signori”. Tutto ebbe inizio nel 1946, e tra i suoi clienti ce n’era uno che si allungava e si accorciava
Domenico avrebbe voluto riparare biciclette, andare a bottega dal ciclista di Cervere. Lui che fece due anni da allievo, ma non reggeva la distanza. La distanza che lo fece soffrire quando ragazzino la mamma a tredici anni lo mandò a Torino dove cominciò a lavorare dal sarto dei “signori”, in città dopo tre anni a imparare dal sarto del paese dove aveva iniziato con ago e filo il primo gennaio del 1946. “I primi tre mesi prendevo mille lire a settimana, il salario di un operaio era di trentamila lire al mese. La domenica era libera. La domenica, il giorno più brutto. Non sapevo cosa fare, non passava mai. Gli altri a bottega erano più grandi, avevano vent’anni. Loro andavano a ballare, non potevano certo portarmi, però mi volevano bene. Mi insegnarono tanto.“ Poi migrarono anche i genitori e Domenico tornò a stare con la famiglia. Andarono ad abitare in Corso Brescia. “Lì erano tutti meridionali, la maggior parte artigiani come me. Era bello stare con i meridionali. Io mi sono integrato subito con loro”. A Domenico piaceva fare il sarto, soprattutto prendere le misure. Spesso andava a casa dei clienti con la vespa. Clienti importanti professionisti e gente famosa perché un vestito costava, stoffa e manifattura, almeno cinquantamila lire. Una bella cifra allora che pochi potevano permettersi. Boniperti per esempio che “quando gli dicevo che la Juve non giocava poi così bene mi rispondeva che non vince chi gioca meglio, ma chi segna di più” . Boniperti che era meglio rimandare la prova del vestito se la Juve aveva perso. Capitavano anche artisti di passaggio, una volta Modugno e Ingrassia. Erano all’Alfieri per Rinaldo in campo. Modugno che a Torino faceva il barista in quello che adesso è il Caffè dell’Università e dormiva, guarda caso, nella bottega di un sarto di corso Marconi. Non mancavano clienti “speciali”, molto speciali: “Quello che mi faceva disperare era Gustavo Rol, lui aveva la capacità di allungarsi e di accorciarsi. Per uno che deve prendere le misure, è un bel problema. Alla prima prova arrivava alto, alla seconda basso. Si divertiva a stupire, però se perdevo le forbici chiedevo a lui. Le trovava sempre”. Il lavoro non si concludeva con la consegna: “noi seguivamo la tradizione inglese che l’abito nuovo lo facevano prima indossare alla servitù poi veniva lavato e stirato e solo allora calzava perfettamente. Ai nostri clienti consigliavamo di stropicciarlo per bene e riportarcelo per la stiratura finale”.Domenico decise di mettersi in proprio nel 1972 dopo aver lavorato quasi sempre per lo stesso sarto salvo qualche breve esperienza da altri sarti per “signori”, tra i quali il sarto di Mike Bongiorno, Cian di via Madama Cristina, per il quale confezionò un cappotto. Ora è rimasta un po’ di nostalgia per corso Brescia e in un armadio uno smoking che sfilò a Sanremo con successo, uno smoking a pois blu su sfondo nero. E’ rimasto anche il desiderio di raccontare per fortuna, perché la vita di Domenico Arnaudo e di tanti come lui fanno la storia di un paese.
La storia siamo noi dice la canzone.