Proust e il risotto con le castagne
Il riso è molto ospitale, nel senso che insieme ci puoi cucinare quasi di tutto. Anche i ricordi. Avete presente la sindrome di Proust, quella delle Madeleine: un oggetto, un sapore che esercita la memoria. Io questa sera l’ho provocata la sindrome di Proust. Mi son messo ai fornelli e ho cucinato il risotto con le castagne del prete, tornando indietro nel tempo quando ero un ragazzino pugliese.
Le castagne del prete sono una specialità dell’Irpinia, morbidissime e con un leggero sapore di affumicato. Noi ragazzini pugliesi le trovavamo, insieme ai semi di zucca tostati e salati, nelle bancarelle di cibi di strada (adesso lo chiamano street food) durante le feste (e quante feste fanno laggiù). Quelle castagne dovevi andare al sud per trovarle e al momento giusto. Ora le trovi anche al supermercato e non vi dico lo stupore quando le vidi la prima volta.
Ma torniamo al risotto. Una cosa facile facile.
La solita cipolla soffritta nell’olio.
Il brodo di verdura, ma se il tempo è tiranno anche un dado.
Un dito di vino rosso.
Il riso.
Uva passa.
Le castagne del prete.
Una bella grattugiata di parmigiano.
L’uva passa e le castagne tenetele a bagno una mezzora prima di buttarle nel risotto.
Nell’ordine soffriggete la cipolla, buttate il riso, dopo un po’ il vino, un po’ di brodo, le castagne e l’uvetta, un po’ di brodo, il parmigiano.
Facile facile.
Tenetene qualcuna da magiare a fine pasto in compagnia di un buon bicchiere di vino. Facilita la chiacchiera e accompagna la memoria. Perché la memoria prepara il futuro.
Se avete un amico o un’amica pugliese delle parti del barese, invitatelo a cena. Si commuoverà.
Ps: la prima volta il risotto con le castagne l’ho mangiato a Bra, erano altre castagne e i ricordi quella volta non erano miei. Erano di chi mi sta(va) accanto.