Scrive Francesco Panacciulli, restauratore di lampadari artistici, dopo aver saputo della situazione complicata e difficile che si sta vivendo a Cavoretto:
“Lui è Moussa, un ragazzo della comunità di Cavoretto, lavora con me da 6 mesi con un progetto d’integrazione. In lui sto vivendo la drammaticità di questo momento che sta vivendo la comunita’ dove vive. Nel mio percorso imprenditoriale ho avuto molti dipendenti, ma lui per me è un figlio arrivato da lontano. Il suo sogno è di diventare un buon restauratore e tornare nel suo Senegal dove portare questo suo saper fare. E’ un ragazzo pieno di volontà con grande spirito d’iniziativa, sempre puntuale. Mettero del mio per far si che il sogno di Moussa si avveri. Forza amico mio venuto da lontano se la vita o il destino ha voluto che ci incontrassimo un motivo “reale” ci sarà.”
Anche la comunità di Cavoretto non è stata a guardare e si è fatta sentire con questa è la lettera che è stata inviata al Prefetto e per conoscenza alle istituzioni e al vescovo Nosiglia dove si chiede continuità di “modello” e di luogo.
La lettera è scritta dal gruppo di volontari che hanno prestato la loro opera al Centro di accoglienza di Cavoretto.
I motivi del successo del modello di accoglienza dei richiedenti asilo sperimentato a Cavoretto sono diversi. In primo luogo la scelta, controcorrente ma, l’esperienza stessa lo dimostra, ragionevolissima di istituire un centro di accoglienza in un quartiere mediamente non disagiato economicamente, ha permesso, dopo i primi episodi di diffidenza, di smorzare le tensioni sociali fra gli ospiti e la popolazione che, in altre condizioni, a causa della perdurante crisi che colpisce in modo particolare l’area di Torino, sarebbero state di gran lunga più ostative.
Poi le modalità stesse del progetto di accoglienza, basato sulla responsabilizzazione e cooperazione dei giovani ospitati (per esempio turni di pulizia e di cucina), sull’attivazione di corsi per il conseguimento del titolo di studio e sull’apertura al quartiere. Non solo un’attitudine, ma eventi concreti. Basti pensare agli incontri con gli abitanti, avvenuti appena gli ospiti sono arrivati, che hanno visto la partecipazione anche di rappresentanti della Prefettura, della Questura e della Circoscrizione, che hanno chiarito i percorsi dei richiedenti asilo, sgombrando il campo da pregiudizi e disinformazione, ma anche agli spettacoli e alle feste, una consuetudine il venerdì sera, che hanno avvicinato culture e tradizioni tanto diverse.
Si è così spontaneamente costituita una rete, informale ma solida, di volontari, che ha coinvolto anche degli studenti delle scuole limitrofe in progetti di alternanza scuola-lavoro, dedicati all’insegnamento agli ospiti della lingua italiana e di altre materie per il conseguimento della licenza di terza media, a laboratori d’arte, di lettura, di cucina e di panificazione.
Volontari mossi non solo da un impeto di solidarietà, ma dall’esigenza di sentirsi parte di una comunità aperta, accogliente e vitale.
I risultati sono notevoli: acquisizione del titolo di studio per 24 ragazzi con conseguente impegno in tirocini e stage lavorativi, partecipazione alle iniziative artistiche del Salone del Libro e a Terra Madre. Ricordiamo anche il contributo dato dai ragazzi all’agibilità della storica scalinata di Cavoretto e alla pulizia di piazza Freguglia all’interno del progetto ”Torino spazio pubblico” in occasione della Giornata del Rifugiato.
Quello di Cavoretto si può ormai definire un modello per il legame che si è a poco a poco creato fra ospiti e cittadini, in un processo di fattiva integrazione, che ha consentito di mobilitare risorse e canali altrimenti impensabili.
La ricaduta sul quartiere è stata sorprendente. Cavoretto, abbarbicato sulla collina, destinato a diventare un dormitorio, privilegiato ma pur sempre un dormitorio, è stato vivificato dall’arrivo dei nuovi abitanti.
Ora veniamo a sapere che, per vicende di cui non entriamo nel merito in questa sede, questo progetto di accoglienza potrebbe essere a breve interrotto. Mentre esprimiamo la nostra vicinanza e solidarietà agli ospiti e agli operatori che li seguono, in quanto volontari e cittadini vogliamo con forza affermare che la fine di questo esperimento, del “Modello Cavoretto”, sarebbe una incomprensibile sconfitta per tutti, non solo per gli ospiti, ma anche per i cittadini e per le Istituzioni, perché l’accoglienza, seppur gestita da privati, è un progetto pubblico. Chiediamo quindi alle Istituzioni di attivare ogni mezzo per evitare questa sconfitta, in modo che i ragazzi possano continuare INSIEME, A CAVORETTO i percorsi intrapresi, potendo contare sul sostegno delle risorse del territorio.
Per parte nostra, appena in possesso di informazioni più precise, saremo in grado di definire le iniziative che riterremo utili alla continuazione di questo progetto e modello collettivo, per evitare il disperdersi del patrimonio di esperienze accumulate.
Segue l’elenco delle persone che hanno operato concretamente all’interno del centro, sostenute da un folto gruppo di residenti che hanno partecipato assiduamente ai momenti di festa il venerdì sera presso la struttura o nel salone parrocchiale. Ragazzi dell’oratorio, scout, vicini di casa, studenti hanno sempre trovato le porte del Cas aperte. Un numero potente al quale, se necessario, ricorreremo per dare più vigore alla nostra richiesta di non annullare un progetto di inclusione sociale che funziona.